È pronto il primo software che assembla il Dna in due giorni

È il primo software in grado di assemblare un intero Dna in pochi giorni, senza ‘buchi’ e senza errori, a partire proprio da quello dell’uomo. Si chiama Verkko, parola che in finlandese significa ‘rete’, e promette di imprimere una forte accelerazione nel campo della ricerca, non solo per il genoma umano, ma anche per quello di tante altre specie, oltre ad aprire la strada a una serie di applicazioni nella medicina personalizzata. Il risultato della ricerca che ha portato allo sviluppo di Verkko è stato pubblicato sulla rivista Nature Biotechnology, ed è stato ottenuto dai ricercatori del National Institutes of Health (NIH), l’agenzia americana per la ricerca sulla salute.

“Basta premere un pulsante per ottenere una sequenza completa del genoma”

La ‘nascita’ del software ha preso avvio dal progetto internazionale Telomere-to-Telomere (T2T), che lo scorso anno ha pubblicato la sequenza più completa e senza lacune del genoma umano.
“Abbiamo preso tutto ciò che abbiamo imparato nel progetto T2T e automatizzato il processo – ha spiegato Sergey Koren, che ha coordinato lo studio -. Ora con Verkko basta premere un pulsante per ottenere automaticamente una sequenza completa del genoma”.

Assemblare un’intera sequenza di Dna è un po’ come completare un puzzle

Di fatto, mentre i ricercatori del progetto T2T hanno impiegato anni per completare manualmente quell’8-10% del Dna umano che era rimasto ancora all’oscuro, il software Verkko adesso è in grado di completare lo stesso procedimento solamente in un paio di giorni. Assemblare un’intera sequenza di Dna è un po’ come completare un puzzle nel quale i pezzi possono essere piccoli e dettagliati, oppure grandi ma poco precisi. In pratica, Verkko inizia mettendo insieme i pezzi più piccoli, creando molti segmenti disconnessi tra loro. A questo punto, il software confronta le regioni già assemblate con i pezzi più grandi che ha a disposizione, ovvero, quelli che servono da ‘cornice’ per mettere in ordine le varie parti.

Verso la costruzione di database pangenomici completi

Il prodotto finale è quindi una sequenza genomica dettagliata e completa, riferisce Startupitalia. I ricercatori hanno già testato le capacità di Verkko con sequenze umane e non, constatando la velocità e la precisione con cui il sistema ha ricostruito interi cromosomi, un compito che un tempo rappresentava un’impresa ardua, riporta Ansa. Più in dettaglio, l’esecuzione di Verkko sul genoma umano HG002 ha prodotto 20 dei 46 cromosomi diploidi assemblati senza lacune, con una precisione del 99,9997%. Un risultato, questo, che va verso la costruzione di database pangenomici completi e genomica comparativa su scala cromosomica. 

AI e ricerche online: secondo Google “La fotocamera è la prossima tastiera”

Per le ricerche online le applicazioni, per ora, utilizzano le parole scritte, ma il futuro delle ricerche potrebbe essere multiplo. O almeno è quanto ha dichiarato Google durante la presentazione parigina di nuove funzionalità legate alle ricerche. Di fatto, già oggi è possibile fare ricerche, oltre che con le parole, anche con le immagini. D’altronde, “le ricerche online hanno 25 anni – afferma Prabhakar Raghavan, senior vice president di Google -. La loro storia è appena iniziata”. E l’AI sarà centrale nelle ricerche online, ovvero nel modo in cui accediamo a gran parte delle informazioni.  “Siamo nell’era della ricerca visuale”, aggiunge Raghavan. Anzi, di più: “La fotocamera è la prossima tastiera”.
Insomma, scatti, clicchi, cerchi, con il pieno supporto dell’AI. 

Il ruolo essenziale di Lens

I prodotti presentati confermano la centralità dell’immagine, con un ruolo essenziale di Lens. Un esempio pratico? Scattiamo la foto di un abito visto in vetrina: bello, solo che sarebbe meglio di un altro colore. Basta caricare l’immagine e aggiungere ‘verde’ ed ecco che nei risultati di ricerca comparirà quell’abito o abiti simili di colore verde. Poiché la funzionalità ha evidenti applicazioni commerciali sarà presto disponibile anche l’opzione ‘vicino a me’, che restringe la ricerca multipla alle attività poco distanti. A breve, riferisce Agi, arriverà anche Search screen, che permette di attivare la ricerca multipla su qualsiasi cosa compaia in un’immagine online: Lens infatti identifica l’oggetto e permette di iniziare la ricerca e saperne di più.
In pratica, sottolinea Elizabeth Reid, vice president e gm di Google Search, “se puoi vederlo, puoi cercarlo”.

Una “Visualizzazione immersiva”

Ma il ruolo dell’AI sta diventando centrale anche nelle Mappe. La prima novità si chiama Visualizzazione immersiva. Utilizzando l’AI e la computer vision, questa applicazione fonde miliardi di immagini di Street View e immagini aeree per creare un modello digitale dettagliato. Città, quartieri ed edifici si possono guardare dal basso, dall’alto e, altra novità, dall’interno. E sempre grazie alle ricostruzioni visive, l’utente potrà ‘entrare’ all’interno di bar, ristoranti e negozi. Visualizzazione immersiva è pronta per essere lanciata in alcune grandi città nel mondo, ed entro pochi mesi, toccherà anche alle italiane Firenze e Venezia.

Poi c’è Live View, uno Street View potenziato

Live View è invece una nuova modalità di ricerca che si potrebbe descrivere come uno Street View potenziato. Oggi Maps permette di individuare punti d’interesse, bar, bancomat. Live View fa lo stesso, ma dal vivo, inquadrando la strada che abbiamo davanti. È un’applicazione di realtà aumentata che fonde i classici segnaposto e le informazioni disponibili sulle Mappe con porte e insegne analogiche. Per ora, niente Italia, è disponibile a Londra, Los Angeles, New York, Parigi, San Francisco e Tokyo. La stessa funzionalità può essere sfruttata nei grandi luoghi chiusi che non si conoscono, perché Live View è una guida in realtà aumentata che Google ambisce a portare in aeroporti, stazioni ferroviarie e centri commerciali del mondo.

PNRR: 48 miliardi per l’Agenda Digitale italiana

Il PNRR mette a disposizione 48 miliardi per la digitalizzazione dell’Italia, il 37% di tutte le risorse europee per il digitale inserite nel Next Generation EU. L’Italia ha già completato il 17% di milestone e target dedicati, e secondo il Digital Economy and Society Index (DESI) nel 2022 è salita di 2 posizioni nel ranking europeo di digitalizzazione. Siamo però al 18° posto su 27 Stati membri, con importanti gap rispetto ad altri Paesi, in particolare, sulle competenze digitali e i servizi pubblici digitali. Si comincia comunque a concretizzare un modello Government as a Platform di sviluppo ed erogazione di servizi pubblici digitali, in cui la PA diventa una piattaforma di innovazione. Lo evidenzia la ricerca dell’Osservatorio Agenda Digitale della School of Management del Politecnico di Milano.

PA e DESI

La PA riveste un ruolo di primo piano nell’attuazione del PNRR, con almeno il 60% delle risorse destinate a enti pubblici. Per la trasformazione digitale dell’apparato pubblico sono 13 le milestone e 27 i target da realizzare nel 2023, con intenti rilevanti sul fronte del procurement.
Nell’edizione 2022 del DESI l’Italia è 25esima per diffusione di competenze digitali, settima per connettività, ottava per digitalizzazione delle imprese, 19esima per digitalizzazione della PA.
Per superare i limiti di completezza degli indicatori l’Osservatorio ha elaborato i Digital Maturity Indexes (DMI), da cui emergono ottimi risultati nella connettività e nell’integrazione delle tecnologie digitali, dovuti a copertura a 5G, diffusione del cloud, e fatturazione elettronica.

Government as a Platform

Il nostro Paese sta cercando di adottare un modello di Government as a Platform, con dataset e componenti condivisi, piattaforme per accentrare l’offerta di servizi pubblici, modelli di interoperabilità applicativa basati su API e standard aperti, soluzioni cloud per garantire scalabilità, controllo della sicurezza ed efficienza. Per l’interoperabilità, la Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND) abiliterà lo scambio automatico di dati tra PA e favorirà l’interoperabilità dei sistemi informativi, mentre il Progetto Mobility as a Service for Italy (MaaS) prevede di dedicare 57 milioni di euro all’integrazione e all’interoperabilità di servizi di trasporto pubblico e privato. Per l’infrastruttura cloud, il Polo Strategico Nazionale (PSN) ospiterà i dati e i servizi critici e strategici delle PA, ma siamo ancora lontani dalla dismissione e razionalizzazione degli oltre 11.000 data center attualmente presenti.

Acquisti pubblici ed enti locali

Il nuovo Codice dei contratti pubblici (1° aprile 2023) prevede un’accelerazione nella gestione degli appalti pubblici tramite piattaforme digitali interoperabili. Un mercato che nel mondo pubblico vale 28 milioni di euro l’anno. È necessario realizzare un processo di approvvigionamento completamente digitalizzato e superare i problemi del mercato di soluzioni digitali alla PA, che le acquista tutte da aziende private. Perché l’Italia riesca a rispondere alla chiamata digitale è necessario definire una governance che preveda un forte presidio e coordinamento sui temi dell’Agenda Digitale. Le PA locali gestiranno oltre 66 miliardi di euro del PNRR, e molte delle risorse complementari verranno amministrate direttamente da Regioni e Province Autonome.

Pensioni minime: di quanto aumentano dal 1° gennaio 2023?

L’ultima Legge di Bilancio prevede l’aumento delle pensioni minime a partire dal 1° gennaio 2023.  La pensione minima, secondo quanto disposto dalla Legge n. 638/1983, è un’integrazione del trattamento minimo pensionistico, riconosciuta a tutti coloro che percepiscono una pensione di importo basso. Di fatto, chi percepisce una pensione di importo inferiore a quello stabilito dalla legge ha diritto a un aumento tale da integrare la somma fino al raggiungimento della soglia minima fissata, che fino al 1° gennaio 2023 era di 525,38 euro.  Alla pensione minima, pertanto, ha diritto solo chi ha già avuto accesso alla pensione di vecchiaia, ossia ha raggiunto almeno i 10 anni di contribuzione e 67 anni di età.

Un’erogazione soggetta a perequazione economica

Non basta, però, raggiungere i requisiti e percepire una somma pensionistica al di sotto della soglia di legge. La pensione minima, infatti, non è riconosciuta a tutti coloro che vanno in pensione ma che hanno iniziato a versare i propri contributi a partire dal 1996, e a coloro che aderiscono alla Gestione Separata o scelgono l’opzione contributiva per la liquidazione della pensione.
Come avviene per ogni tipologia di erogazione pensionistica, anche questa è soggetta a perequazione economica: l’importo erogato viene rivalutato ogni anno sulla base delle variazioni del costo della vita come rilevato dagli indici Istat.

L’incremento è di 38,25 euro

Le misure adottate sono però transitorie. Gli aumenti pensionistici previsti, infatti, saranno validi al momento solo per 13 mensilità. Dal 1° gennaio 2023, ma solo per i successivi 13 mesi, tutti i percettori di pensione aventi diritto all’integrazione riceveranno un assegno pari a 563,73 euro, con un incremento quindi di 38,25 euro. Si tratta di una misura varata al fine di contrastare l’inflazione, che ha avuto una ricaduta diretta sull’aumento dei prezzi di beni e servizi. Si cerca in tal modo di rispettare il principio base della Legge n.638/1983, ossia quello di assicurare a tutti uno stile di vita dignitoso.
Un’eccezione è rappresentata dagli over 75, per i quali è previsto un aumento dell’assegno pensionistico pari a 600 euro, con un aumento al lordo pari a 74,62 euro.

Ridefinite le aliquote di rivalutazione

Con lo stesso scopo per cui è stato varato l’aumento delle pensioni, la nuova Legge interviene anche a ridefinire le aliquote di rivalutazione delle pensioni.  Con gli aumenti così fissati, le pensioni minime riescono a recuperare il 100% dell’inflazione, prevista per il 2023 al 7,3%. Un aumento pieno è calcolato solo per le pensioni di importo inferiore a 4 volte il minimo .Le altre percentuali di rivalutazione della pensione sono state fissate all’85% fino a 5 volte il minimo, al 53% fino a 6 volte il minimo, al 47% fino a 8 volte il minimo, al 37% fino a 10 volte il minimo, e al 32% oltre 10 volte il minimo.

Podcast: sono 4 milioni gli ascoltatori italiani

I podcast sono uno dei format di maggior successo degli ultimi anni. E anche in Italia si moltiplicano le iniziative editoriali in questo settore, ma sono molti anche i casi di successo più ‘artigianali’ basati sull’iniziativa di singoli creator. A quanto emerge dal profilo dell’audience italiana di podcast, tracciato GfK Sinottica e realizzato a partire dai dati aggiornati a giugno 2022, sono quasi 4 milioni gli italiani che negli ultimi 12 mesi dichiarano di aver ascoltato podcast regolarmente. La quasi totalità degli ascoltatori (85%) fruisce di podcast gratuiti, mentre solo il 7% ascolta esclusivamente podcast a pagamento e l’8% ascolta entrambi.

Millennial, con livello culturale e risorse economiche medio alte 

Secondo l’analisi, questa tipologia di intrattenimento è in grado di intercettare l’interesse di un pubblico di alto livello culturale (il 30% è laureato) e dalle buone se non ottime risorse economiche (il 35% ha reddito medio-alto o alto). Non si osservano particolari differenze di genere, ma sicuramente si tratta di un target abbastanza giovane. L’età media dell’ascoltatore di podcast è di 41 anni, con una prevalenza di Millennial, ma con una buona rappresentanza di appartenenti alla GenerazioneZ (il 40% ha fino 34 anni) La maggioranza (60%) degli ascoltatori è composto da lavoratori, mentre gli studenti sono circa il 15% del totale. I più giovani vivono con i genitori, gli altri sono in prevalenza single o vivono col partner (ma senza figli).

Iscritti ai social e abbonati alle piattaforme di Video on Demand

La quasi totalità degli ascoltatori di podcast è iscritta almeno a un social network, che vengono utilizzati regolarmente per cercare informazioni su ciò che accade nel mondo e condividere contenuti.
Inoltre, circa il 90% degli ascoltatori di podcast è abbonato ad almeno una piattaforma di Video on Demand. Un’ulteriore conferma che questo target predilige la fruizione on demand dei contenuti, sia in termini di argomenti sia di occasioni e di device.

Contenuti al top: cultura e società, musica, news, comicità

Nella Top 5 degli argomenti preferiti dei podcast figurano cultura e società, musica, news e attualità, programmi radiofonici e comicità. Si posizionano bene però anche temi quali salute e benessere, crime story e corsi di formazione. Gli aspetti più rilevanti nella scelta di quale podcast ascoltare sono l’argomento trattato (68%), lo speaker (36%) e il linguaggio usato (29%). I momenti e le modalità di ascolto sono piuttosto vari, anche se l’ambito domestico, magari mentre si è impegnati in altre attività, e gli spostamenti sono le occasioni più gettonate per dedicarsi all’ascolto di podcast. In media, gli italiani ascoltano podcast per circa 25 minuti, e le occasioni di ascolto sono 2-3 a settimana.

Maternità obbligatoria: cos’è, e le novità in arrivo nel 2023

In Italia il congedo di maternità obbligatorio ha una durata di 5 mesi, e può essere fruito dalla lavoratrice a partire dal giorno precedente al parto fino al compimento dei tre mesi di vita del bambino. La lavoratrice ha inoltre la possibilità di scegliere di fruire di un congedo opzionale di ulteriori 3 mesi, sempre a condizione che il periodo complessivo di assenza non superi gli 8 mesi.
Di fatto, la maternità obbligatoria è un periodo di astensione dal lavoro al quale le lavoratrici hanno diritto durante la gravidanza e il puerperio, il periodo successivo al parto. Nel nostro paese la legge garantisce il congedo di maternità obbligatorio di 5 mesi per le lavoratrici dipendenti, a cui si possono aggiungere appunto altri 3 mesi di congedo opzionale.

Indennità riconosciuta dall’Inps

Durante il congedo di maternità obbligatorio, la lavoratrice ha diritto a un’indennità di maternità erogata dall’Inps. L’importo di tale indennità è pari al 100% della retribuzione lorda da lavoro dipendente, e viene corrisposta per un massimo di 5 mesi per il congedo obbligatorio e per altri 3 mesi per il congedo opzionale. Per richiedere il congedo di maternità la lavoratrice deve presentare all’Inps la relativa domanda utilizzando il modello SR163 entro il 180° giorno precedente la data prevista del parto. La domanda va presentata anche in caso di adozione o affidamento preadottivo, e deve essere accompagnata da una certificazione medica che attesti la gravidanza, o l’imminente adozione.

Diritti e doveri delle lavoratrici durante il periodo di congedo

Durante il congedo di maternità, la lavoratrice ha diritto a conservare il posto di lavoro e a ricevere l’indennità di maternità come previsto dalla legge. Tuttavia, è tenuta a comunicare tempestivamente al datore di lavoro eventuali variazioni della data del parto o del rientro al lavoro.

Agevolazioni per le lavoratrici madri durante e al rientro dal congedo

Le lavoratrici madri hanno diritto ad alcune agevolazioni durante e al rientro dal congedo di maternità. Ad esempio, hanno diritto a usufruire di un orario di lavoro part-time fino al compimento dell’anno di vita del bambino, anche se non hanno mai lavorato part-time in precedenza. Inoltre, possono richiedere la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in un rapporto di lavoro a tempo parziale, sempre fino al compimento dell’anno di vita del bambino.

Le novità introdotte dalla legge di bilancio

L’ultima la legge di bilancio ha previsto alcune novità in materia di congedo di maternità per le lavoratrici. Ad esempio, è stata introdotta la possibilità per le lavoratrici dipendenti di fruire del congedo di maternità anche in modalità di smart working, a condizione però che sia possibile svolgere la propria attività lavorativa in modalità agile. Inoltre, è stata estesa ai padri lavoratori dipendenti la possibilità di fruire di 5 giorni di congedo retribuito in caso di parto o adozione.

L’evoluzione della famiglia in Italia

La famiglia italiana è tradizionale, e continuerà a esserlo anche nel prossimo futuro. Lo conferma la ricerca Diverse&Inclusive Family – L’evoluzione della famiglia in Italia, presentata durante l’evento ‘Family Gap: questioni domestiche, questioni di genere?’ organizzato da Henkel Italia.
All’interno del campione appartenente alla community del magazine online DonnaD, Amica Fidata, l’87% dichiara di convivere con un partner di sesso opposto, con figli nel 67% dei casi.
Un quadro che non sembra destinato a mutare significativamente, almeno secondo i Millennial, che tra dieci anni si vedono sposati (76%) e con figli ancora in casa (78%), proprio come la generazione precedente.

Le grandi decisioni

Nelle grandi questioni familiari uomini e donne sembrano decidere insieme: la scelta della città in cui vivere è condivisa (74% uomini, 76% donne), così come la tipologia di abitazione (75%, 79%) e l’avere o meno figli (83%, 81%). Le prime significative divergenze si riscontrano sulla scelta del lavoro e le grandi questioni finanziarie (acquisto di seconde case, finanziamenti, investimenti ecc.). Se sul lavoro predomina la scelta individuale, con il 53% degli uomini che dichiara di prendere in autonomia ogni scelta che riguardi il proprio futuro lavorativo (64% donne), i dati relativi ai grandi temi finanziari mostrano che a guidare le scelte è ancora l’uomo. Il 66% di loro condivide tali scelte con la compagna contro il 76% delle donne.

La gestione quotidiana di casa e figli

Nella quotidianità e nella gestione della casa la condivisione delle scelte è alta, ma tornano le differenze sulle decisioni impegnative, come l’acquisto di auto o moto (58% uomini, 71% donne) o la scelta delle utenze (47%, 57%). La cura della casa è ancora a carico prevalentemente della donna, un modello vicino a quello del passato, meno collaborativo e con una distinzione dei compiti più netta. Per una persona su 10 devono infatti esserci compiti ben definiti tra uomo e donna (6,4% uomini, 4,7% donne) perché hanno diverse predisposizioni (56%) o capacità (50%). Nella gestione dei figli è nei compiti quotidiani che uomini e donne concordano nell’affermare che la madre deve essere più presente. Il 66% delle donne dichiara di occuparsi del tutto dei compiti scolastici e di mantenere i contatti con la scuola (75%).

Lavoro e salary gap

Stando a quanto dichiarato dagli intervistati, il 90% degli uomini conta su un lavoro full time contro il 57% delle donne, una situazione che determina una maggiore presenza della donna in casa, e un suo ruolo più centrale nel disbrigo delle faccende domestiche. Per quanto riguarda le donne che lavorano, il 47% si sente apprezzata sul lavoro (48% uomini) ma la retribuzione è considerata alta solo dal 4% di loro (10% uomini) o equa dal 37% (41%). E solo in una famiglia su 3 il contributo portato da uomini e donne è il medesimo, anche se per l’85% delle famiglie questo non influenza il modo di prendere le decisioni.

L’Italia è post-populista e malinconica. Perchè?

La società italiana entra nel ciclo del post-populismo, e alle vulnerabilità economiche e sociali strutturali ora si aggiungono gli effetti delle crisi dell’ultimo triennio: pandemia, guerra, inflazione, morsa energetica.
Si levano quindi istanze di equità non più liquidabili come ‘populiste’. Per il 92,7% degli italiani l’impennata dell’inflazione durerà a lungo, per il 69,3% il proprio tenore di vita si abbasserà, e il 64,4% sta intaccando i propri risparmi. Cresce perciò la ripulsa verso privilegi ritenuti odiosi, con effetti divisivi. Per l’87,8% sono insopportabili le differenze eccessive tra le retribuzioni dei dipendenti e dirigenti, per l’84,1% le tasse troppo esigue pagate dai giganti del web, per l’81,5% i facili guadagni degli influencer. Ma non si registrano fiammate conflittuali o mobilitazioni collettive. E alle ultime elezioni il primo partito è stato quello dei non votanti, quasi 18 milioni, il 39% degli aventi diritto.

Una nuova età dei rischi

Il tradizionale intreccio lineare ‘lavoro-benessere-economico-democrazia’ non funziona più. Si è sedimentata la convinzione che tutto può accadere, anche l’indicibile. L’84,5% degli italiani è convinto che eventi geograficamente lontani possano cambiare improvvisamente la quotidianità e stravolgere i destini. Il 61,1% teme che possa scoppiare un conflitto mondiale, il 58,8% che si ricorra all’arma nucleare, il 57,7% che l’Italia entri in guerra.
Oggi il 66,5% degli italiani (+10% vs 2019) si sente insicuro. I principali rischi globali percepiti sono guerra (46,2%), crisi economica (45,0%), virus letali e nuove minacce biologiche (37,7%), instabilità dei mercati internazionali (26,6%), eventi atmosferici catastrofici (24,5%), e attacchi informatici su vasta scala (9,4%).

Si inceppano i meccanismi proiettivi

Quella del 2022 però non sembra un’Italia sull’orlo di una crisi di nervi, anche se i meccanismi proiettivi tipici della società dei consumi, che in passato spingevano a fare sacrifici per modernizzarsi e arricchirsi, hanno perso la capacità di orientare i comportamenti collettivi. Gli italiani non sono più disposti a fare sacrifici, il 36,4% nemmeno per fare carriera e guadagnare di più. Pensando a pandemia, guerra e crisi ambientale l’89,7% degli italiani prova tristezza.
È la malinconia a definire oggi il carattere degli italiani, un sentimento corrispondente alla coscienza della fine del dominio onnipotente ‘dell’io’ sugli eventi e sul mondo.

Il senso di insicurezza

Al vertice delle insicurezze personali c’è il rischio di non autosufficienza e invalidità (53,0%), il 51,7% degli italiani teme di rimanere vittima di reati, il 47,7% non è sicuro di poter contare su redditi sufficienti in vecchiaia, il 47,6% ha paura di perdere il lavoro, e il 42,1% di dover pagare di tasca propria prestazioni sanitarie impreviste. Eppure, oggi siamo il Paese statisticamente più sicuro di sempre. Dal 2012 i crimini più efferati sono diminuiti del -42,4%, le rapine del -48,2%, i furti nelle abitazioni del -47,5%, i furti di autoveicoli del -43,7%.
Nell’ultimo decennio sono aumentate solo alcuni reati, violenze sessuali (+12,5%), estorsioni (+55,2%), truffe informatiche (+152,3%).

Fiducia di consumatori e imprese, a novembre torna a salire

Che gli italiani scorgano qualche segnale di ottimismo nel futuro per quanto riguarda la situazione economica e sociale del Paese? Pare proprio di sì, almeno stando alle ultime rilevazioni dell’Istat. L’Istituto di Statistica, infatti, a novembre 2022 stima un aumento sia dell’indice del clima di fiducia dei consumatori (da 90,1 a 98,1) sia dell’indice composito del clima di fiducia delle imprese (da 104,7 a 106,4).
Tutte le serie componenti l’indice di fiducia dei consumatori sono in miglioramento. Anche i quattro indicatori calcolati mensilmente a partire dalle stesse componenti presentano una variazione congiunturale estremamente positiva. In particolare, il clima economico e il clima futuro registrano le variazioni più accentuate (rispettivamente da 77,6 a 95,2 e da 88,8 a 102,8); il clima personale e quello corrente aumentano in modo più contenuto (nell’ordine da 94,3 a 99,0 e da 91,0 a 94,9).

Imprese, si vede rosa in quasi tutti i comparti 

Per quanto riguarda il sentiment delle imprese, il clima di fiducia migliora in tutti i comparti (nel settore manifatturiero l’indice passa da 100,7 a 102,5, nei servizi da 96,0 a 98,8 e nel commercio al dettaglio da 109,0 a 112,2) ad eccezione delle costruzioni dove l’indice diminuisce da 157,5 a 151,9. Considerando le componenti dei climi di fiducia delle imprese, nel comparto manifatturiero si rileva un peggioramento dei giudizi sulla domanda e un incremento delle giacenze di prodotti finiti, mentre sono in deciso miglioramento le attese sulla produzione. Nelle costruzioni tutte le componenti peggiorano. In merito invece al comparto dei servizi di mercato, le attese sugli ordini registrano un marcato miglioramento mentre il saldo dei giudizi sugli ordini e quello sull’andamento degli affari diminuiscono. Nel commercio al dettaglio, infine, le attese sulle vendite crescono decisamente mentre i relativi giudizi si deteriorano; le opinioni sulle scorte rimangono sostanzialmente stabili.

Il dato risale dopo quattro mesi di flessione

“Dopo quattro mesi consecutivi di flessione il clima di fiducia delle imprese torna ad aumentare trainato soprattutto dalle aspettative sulla produzione nel comparto manifatturiero, da quelle sugli ordini nei servizi di mercato e dalle attese sulle vendite nel commercio al dettaglio” commenta l’Istat. Anche il clima di fiducia dei consumatori presenta una dinamica positiva dovuta soprattutto ad opinioni sulla situazione economica del paese, comprese quelle che riguardano il tasso di disoccupazione, in deciso miglioramento, seguite da attese sulla situazione economica familiare e da opinioni sulle possibilità di risparmio in ripresa.

Ecobonus e superbonus, che valore hanno prodotto e quanto gas hanno fatto risparmiare?

Ci saranno state sicuramente delle criticità nella loro messa in pratica, ma dati alla mano pare che Ecobonus e superbonus il loro lavoro l’abbiano fatto. Gli ultimi conteggi sono a opera del Censis, che ha realizzato uno studio ad hoc in collaborazione con Harley&Dikkinson e la Filiera delle Costruzioni. Il Censis stima che i 55 miliardi di euro di investimenti certificati dall’Enea per il periodo compreso tra agosto 2020 e ottobre 2022 legati all’utilizzo del Super ecobonus hanno attivato un valore della produzione nella filiera delle costruzioni e dei servizi tecnici connessi pari a 79,7 miliardi di euro (effetto diretto), cui si sommano 36 miliardi di euro di produzione attivata in altri settori del sistema economico connesso alle componenti dell’indotto (effetto indiretto), per un totale di almeno 115 miliardi di euro.

Gli effetti sull’occupazione

Un simile intervento ha avuto necessariamente degli effetti sull’occupazione. Venendo ai numeri della ricerca, si evince che nel 2021 il valore aggiunto delle costruzioni è aumentato del 21,3% rispetto all’anno precedente. Nel Mezzogiorno la crescita è stata pari al 25,9% e nel Nord-Ovest al 22,8%. Più contenuta al Centro (16,3%) e nel Nord-Est (18,5%). Si stima che l’impatto occupazionale del Super ecobonus per l’intero periodo agosto 2020-ottobre 2022 sia stato pari a 900.000 unità di lavoro, tra dirette e indirette. Particolarmente rilevante l’impatto del solo periodo compreso tra gennaio e ottobre 2022, in cui si stima che i lavori di efficientamento energetico degli edifici abbiano attivato 411.000 occupati diretti (nel settore edile, dei servizi tecnici e dell’indotto) e altre 225.000 unità indirette.

Quanta energia è stata risparmiata?

Il Censis stima che, sulla base dei dati disponibili, la spesa di 55 miliardi di euro generi un risparmio di 11.700 Gwh/anno, che corrispondono a 1,1 miliardi di metri cubi di gas, pari al 40% del risparmio energetico che il Piano emergenziale di riduzione dei consumi del settore domestico si prefigge di realizzare nell’autunno-inverno 2022-2023 (2,7 miliardi di metri cubi di gas). Per avere ancora un ordine di grandezza dei costi e dei benefici del Super ecobonus, considerando gli interventi finanziati dagli ecobonus ordinari fino al 2020 insieme a quelli finanziati attraverso il superbonus, si arriverebbe a un risparmio stimabile in circa 2 miliardi di metri cubi di gas, pari a oltre due terzi di tutti i risparmi di gas previsti in Italia dalle ultime misure di riduzione dei consumi per il settore domestico. La riduzione nelle emissioni di CO2 dovuta agli interventi con il superbonus è stimabile in 1,4 milioni di tonnellate di mancate emissioni, che contribuiscono alla riduzione dell’impronta ecologica del patrimonio edilizio italiano e permettono di conseguire risultati importanti nel processo di transizione ecologica del Paese.