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Podcast: sono 4 milioni gli ascoltatori italiani

I podcast sono uno dei format di maggior successo degli ultimi anni. E anche in Italia si moltiplicano le iniziative editoriali in questo settore, ma sono molti anche i casi di successo più ‘artigianali’ basati sull’iniziativa di singoli creator. A quanto emerge dal profilo dell’audience italiana di podcast, tracciato GfK Sinottica e realizzato a partire dai dati aggiornati a giugno 2022, sono quasi 4 milioni gli italiani che negli ultimi 12 mesi dichiarano di aver ascoltato podcast regolarmente. La quasi totalità degli ascoltatori (85%) fruisce di podcast gratuiti, mentre solo il 7% ascolta esclusivamente podcast a pagamento e l’8% ascolta entrambi.

Millennial, con livello culturale e risorse economiche medio alte 

Secondo l’analisi, questa tipologia di intrattenimento è in grado di intercettare l’interesse di un pubblico di alto livello culturale (il 30% è laureato) e dalle buone se non ottime risorse economiche (il 35% ha reddito medio-alto o alto). Non si osservano particolari differenze di genere, ma sicuramente si tratta di un target abbastanza giovane. L’età media dell’ascoltatore di podcast è di 41 anni, con una prevalenza di Millennial, ma con una buona rappresentanza di appartenenti alla GenerazioneZ (il 40% ha fino 34 anni) La maggioranza (60%) degli ascoltatori è composto da lavoratori, mentre gli studenti sono circa il 15% del totale. I più giovani vivono con i genitori, gli altri sono in prevalenza single o vivono col partner (ma senza figli).

Iscritti ai social e abbonati alle piattaforme di Video on Demand

La quasi totalità degli ascoltatori di podcast è iscritta almeno a un social network, che vengono utilizzati regolarmente per cercare informazioni su ciò che accade nel mondo e condividere contenuti.
Inoltre, circa il 90% degli ascoltatori di podcast è abbonato ad almeno una piattaforma di Video on Demand. Un’ulteriore conferma che questo target predilige la fruizione on demand dei contenuti, sia in termini di argomenti sia di occasioni e di device.

Contenuti al top: cultura e società, musica, news, comicità

Nella Top 5 degli argomenti preferiti dei podcast figurano cultura e società, musica, news e attualità, programmi radiofonici e comicità. Si posizionano bene però anche temi quali salute e benessere, crime story e corsi di formazione. Gli aspetti più rilevanti nella scelta di quale podcast ascoltare sono l’argomento trattato (68%), lo speaker (36%) e il linguaggio usato (29%). I momenti e le modalità di ascolto sono piuttosto vari, anche se l’ambito domestico, magari mentre si è impegnati in altre attività, e gli spostamenti sono le occasioni più gettonate per dedicarsi all’ascolto di podcast. In media, gli italiani ascoltano podcast per circa 25 minuti, e le occasioni di ascolto sono 2-3 a settimana.

Post-Covid: l’importanza di un ambiente di lavoro più salubre

Per l’85% dei manager di bar-ristoranti, hotel e alberghi, Rsa, palestre e spa, uffici e punti vendita, lo smartworking è un lontano ricordo. Queste strutture, una volta riaperte, necessitano infatti della presenza in loco, mentre negli uffici la presenza è totale solo nel 57% dei casi, e nel 43% il lavoro si svolge comunque prevalentemente in sede. Si tratta dei risultati di un sondaggio commissionato da Initial a BVA-Doxa per esplorare i temi del wellbeing, dell’igiene, della sicurezza e della sostenibilità negli ambienti di lavoro Per l’80% degli intervistati l’elemento più importante per migliorare igiene, sicurezza e wellbeing sul posto del lavoro riguarda una maggiore igiene delle superfici, spazi e bagni dotati di comfort, dispenser di saponi e carta. Al secondo posto (47%), i purificatori d’aria, particolarmente importanti per Rsa (60%) e palestre/spa (59%), e al terzo l’ammodernamento degli spazi comuni (42%) e la profumazione degli ambienti (40%). In questo caso si rilevano valori più elevati per Rsa (55%) e palestre/spa (47%).

Il workplace wellbeing

Il tema del workplace wellbeing è molto importante per il 71% degli intervistati, in particolare, presso hotel (83%), Rsa (82%) e palestre/spa (80%). Sembra inoltre che l’attenzione al wellbeing sia decisamente aumentata (60% molto e 31% abbastanza) in seguito alla pandemia, in particolar modo presso hotel/alberghi (81%). Per migliorare il benessere sul luogo di lavoro gli interventi principali sono stati la purificazione dell’aria (54%), l’ampliamento e la ridefinizione degli spazi (37%), l’ergonomicità delle postazioni (30%), l’introduzione di piante e di nuovi elementi d’arredo (27%), e la creazione di zone relax (22%).

L’inquinamento indoor

La maggior parte degli intervistati ha sentito parlare di inquinamento indoor, e solo il 5% dichiara di non essere attento al tema. Tra gli intervistati, infatti, è ben radicata la consapevolezza che l’inquinamento interno sia superiore (46%) o uguale (18%) a quello esterno, ma solo il 22% degli intervistati è informato sui misuratori di qualità dell’aria interna, dati ovviamente molto diversi per Rsa e hotel. Se il tema inquinamento indoor è un tabù che sta cadendo, quali sono gli elementi ritenuti più importanti per migliorare la gradevolezza degli ambienti? Al primo posto l’igiene di sanitari (96%) e superfici (95%), ma anche aria pulita (91%), igiene delle apparecchiature (86%), dei cestini (79%), e una maggior frequenza delle disinfezioni (80%). Seguono, le cassette di primo soccorso (63%) e la presenza di verde (35%).

Il tema della sostenibilità

In seguito alla pandemia, ricorda Adnkronos, si evidenzia un aumento anche dell’attenzione alla sostenibilità negli ambienti di lavoro, che si declina in una grande importanza attribuita alla raccolta differenziata (81%), e seppur in misura inferiore, alla scelta di prodotti ecologici e certificati (53%), una maggiore sensibilizzazione sui temi della sostenibilità (50%), oltre alla scelta di fornitori certificati (52%) e partner/fornitori con approccio green e sostenibile (42%). Aspetti che in alcune aziende tra quelle intervistate risultano già in essere o in programma per il prossimo futuro.

Perché la GenZ è più colpita dalle cyber truffe?

I giovani tra 16 e 26 anni sono i più bersagliati dai cybercriminali. Nel 2021 sono stati circa 10 milioni gli italiani che hanno subito violazioni digitali, e il 32% apparteneva alla GenZ, i nati tra il 1997 e il 2012. Gli episodi di attacco tendono a decrescere all’aumentare dell’età, colpendo il 31% dei Millennials (27-40 anni), il 22% della Generazione X (41-56 anni) e l’11% dei Baby Boomers (57-64 anni). Questo, in parte perché le truffe online utilizzano in modo sempre più massivo gli strumenti digitali con cui la GenZ è cresciuta, in parte perché i criminali informatici prendono di mira target sempre più giovani, come i gamer. Non è un caso che il gaming oggi rappresenti una delle maggiori industry di entertainment al mondo, e sia tra i principali obiettivi del cybercrime.

Riconoscere il phishing

Aruba, il cloud provider italiano, ha avviato una campagna di sensibilizzazione indirizzata agli utenti della GenZ per aiutarli a riconoscere una delle truffe più comuni veicolate su internet: il phishing. Si tratta di una truffa digitale, in cui si cerca di ingannare la vittima spingendola a effettuare operazioni allo scopo di recuperare le sue informazioni personali come username, password o altri dati riservati. Generalmente, il criminale informatico invia false comunicazioni, fingendosi un ente o un’azienda conosciuta (o con cui è possibile siano già in corso conversazioni e relazioni) e usando scuse plausibili per ottenere i dati personali della vittima.

I messaggi fraudolenti

Solitamente gli attacchi di phishing si presentano come comunicazioni che giungono al destinatario via email, SMS (in questo caso, il fenomeno è noto come smishing), tramite social network o sulle piattaforme di instant messaging. I messaggi sono accomunati da una o più caratteristiche, come comunicazione di una sospensione o blocco di un account senza alcuna spiegazione, sollecito di un pagamento legato a una determinata operazione entro una data di scadenza fittizia, presenza di un indirizzo web che include un dominio simile, ma diverso, da quello originale dell’ente, richiesta di informazioni private, o errori ortografici nel corpo del messaggio.

La familiarità dei giovani con il web è un’esca

Di fatto, essere più addestrati nei confronti degli strumenti messi a disposizione da internet non basta a essere protetti, riferisce Ansa. Anzi, potrebbe indurre a prestare meno attenzione alle precauzioni da mettere in atto per difendere la propria vita virtuale. La familiarità dei giovani con i social e il web potrebbe diventare un’esca: chi trascorre molto tempo online ha più probabilità di essere preso di mira. È essenziale quindi educare i più giovani a porre attenzione a dove e con chi condividono informazioni personali online. Fenomeni come phishing, sextortion o cyberbullismo vengono puniti dalla legge, e in caso si venga colpiti, è necessario sporgere denuncia alle autorità competenti.

Traffico dati su mobile: raggiunti i 100 Exabyte

Nel secondo trimestre di quest’anno il traffico dati da mobile è divenuto pari 1000 miliardi di byte. In pratica ha raggiunto i 100 Exabyte al mese.
Questa lievitazione dei dati si spiega con la oramai consueta combinazione tra l’aumento degli abbonamenti a banda larga e una fruizione sempre più focalizzata sui video, che esige un maggiore consumo di dati. Più in particolare, secondo l’Ericsson Mobility Report, che offre un aggiornamento dal mondo della connettività, il volume di dati è cresciuto del +8% rispetto al trimestre precedente, del +39% in un solo anno ed è addirittura raddoppiato nel giro di due anni e mezzo.

Abbonamenti: tra aprile e giugno 2022 sono circa 7,2 miliardi quelli di tipo broadband

Oggi l’86% delle Sim in circolazione sono legate a un abbonamento alla banda larga mobile. Permettono, in altre parole, di accedere a Internet e app.
Sempre secondo l’Ericsson Mobility Report, tra aprile e giugno di quest’anno il numero di abbonamenti di tipo mobile broadband è aumentato di 100 milioni di unità, arrivando a un totale di circa 7,2 miliardi, con un incremento del +6% anno su anno.

Sulla Terra ci sono più Sim attive che esseri umani

Quanto agli standard di connessione, la rete Lte (Long Term Evolution) è la generazione dominante: gli abbonamenti sono 5 miliardi, ossia il 60% di tutti gli abbonamenti mobili, mentre quelli 5G sono ancora molti meno, 690 milioni in tutto il mondo, ma crescono in modo sostenuto, +70 milioni nel secondo trimestre 2022 contro i 77 milioni della Lte. Non è una novità che il tasso di penetrazione degli abbonamenti mobile superi il 100%: oggi è al 106%. Vuol dire, in sostanza, che sulla Terra ci sono più Sim attive (8,3 miliardi) che esseri umani. Nel secondo trimestre, riporta Agi, la spinta è arrivata soprattutto dalla Cina, con 10 milioni di abbonamenti in più, dall’India (+7 milioni) e dall’Indonesia (+4 milioni).

Domina ancora il 4G, ma il 5G agirà da catalizzatore per l’evoluzione

“Il 4G è ancora oggi l’unico modo con cui miliardi di persone in tutto il mondo accedono a Internet – ha affermato Andrea Missori, amministratore delegato di Ericsson in Italia -. Il 5G agirà da catalizzatore per l’evoluzione. Le nuove reti sono implementate non solo per continuare a supportare la crescente domanda di dati e per abilitare nuovi casi d’uso in ambito industriale e consumer, ma anche per aiutare a ridurre il consumo di energia e contribuire alla transizione ecologica”.

Le stampanti inkjet sono più ecologiche: 1,3 milioni di tonnellate di CO2 risparmiati

Le stampanti con tecnologia a getto d’inchiostro potrebbero ridurre le emissioni di oltre il 50% rispetto ai livelli attuali, e potrebbero far risparmiare 1,3 milioni di tonnellate di anidride carbonica (CO2). Se tutti passassero alle stampanti inkjet le emissioni diminuirebbero infatti del 52,6% rispetto ai livelli attuali. Un po’ come se sulle nostre strade circolassero 280.000 auto in meno all’anno. La tecnologia inkjet può infatti consumare fino al 90% in meno rispetto alle soluzioni laser. È quanto emerge da una ricerca commissionata da Epson e svolta dal professor Tim Forman dell’Università di Cambridge. Per un futuro a emissioni zero, si legge nello studio, è necessario che il consumo energetico mondiale associato all’uso dei vari dispositivi diminuisca drasticamente: servirebbe infatti una riduzione media del 25% entro il 2030 e del 40% entro il 2050.

Per la stampa di documenti è possibile un futuro net-zero

“Questa ricerca dimostra che per la stampa è possibile un futuro net-zero, a condizione che vengano adottate soluzioni più efficienti in termini di consumo energetico, a casa come in ufficio, e che si riducano le emissioni di anidride carbonica associate alla produzione di questi dispositivi – dichiara Tim Forman -. Per evitare che il cambiamento climatico abbia conseguenze sempre più drammatiche, è importante continuare a migliorare l’efficienza energetica delle apparecchiature e ridurre i consumi necessari per la loro produzione. L’analisi dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) dimostra che la mancata realizzazione di uno scenario di decarbonizzazione net-zero nel settore degli elettrodomestici potrebbe comportare un aumento del 100% nella frequenza di ondate di calore estremo e un aumento del 40% della siccità”.

Puntare su innovazione tecnologica e dispositivi più efficienti

Secondo Forman, sono tre i modi per attuare un cambiamento collettivo. Innanzitutto, puntare sull’innovazione tecnologica. Con la crescente diffusione di apparecchiature la riduzione delle emissioni di anidride carbonica dipenderà dal miglioramento degli standard di efficienza e dalla riduzione dell’intensità energetica legata alla produzione.
È inoltre necessaria una maggiore collaborazione a livello internazionale per promuovere l’utilizzo di apparecchiature più efficienti e migliorare il quadro per l’etichettatura dell’efficienza energetica. L’obiettivo è accelerare i tempi di eventuali piani d’azione, e ridurre i costi per i dispositivi più efficienti.

Ridurre consumi energetici ed emissioni di gas serra è possibile

Se ognuno di noi farà la propria parte, l’impatto positivo sul pianeta può essere significativo. Scegliendo la tecnologia a freddo, è possibile ridurre consumi energetici ed emissioni di gas serra. “Stiamo senza dubbio affrontando una crisi climatica mondiale e il futuro è nelle nostre mani – commenta Henning Ohlsson, Director of Sustainability di Epson Europe -. Possiamo controllare il modo in cui consumiamo l’energia e rendere il mondo un luogo migliore, dispositivo dopo dispositivo. La tecnologia inkjet è al momento la scelta più eco-sostenibile e anche i cambiamenti più piccoli possono fare una grande differenza nella protezione del permafrost”.

Backup, un’azienda su quattro non fa nulla

Se si pensa che i nostri dati rappresentano uno dei “tesori” più importanti che abbiamo, anche solo immaginare che un’azienda italiana su quattro non abbia nessuna soluzione di backup sembra impossibile. Eppure è proprio così. Lo scenario emerge dall’indagine BVA Doxa per Aruba in occasione del World Backup Day, giornata che cade ogni 31 marzo. 7 aziende ogni 100 sono vittime di una perdita di dati, ciononostante quasi la metà di queste non sa quantificare economicamente il danno subito Il 27% delle piccole e medie imprese italiane non possiede un backup, dato che sale fino al 43% tra le sole piccole imprese.

Cosa fanno le imprese tricolore

Solo il 73% delle aziende intervistate ha dichiarato di disporre di una soluzione di backup, dato che scende al 57% quando si parla di piccole imprese e che sale ad un più incoraggiante 87% quando ci si interfaccia con le medie imprese. Tra quanti utilizzano soluzioni di backup in azienda, il 62% dei rispondenti ne dispone da oltre 5 anni ma è solo il 3% ad essersene dotato nel corso del 2021, sintomo che l’accelerazione della digital transformation registrata nel corso degli ultimi due anni non ha determinato un aumento in parallelo della attenzione alla conservazione dei dati e alla propria sicurezza digitale.
In dettaglio, è il 57% delle aziende intervistate a disporre di un backup in cloud, ossia la soluzione grazie alla quale i file vengono criptati e sincronizzati in tempo reale sui server del data center che ospita il servizio, rendendo il backup pienamente sicuro. Riguardo al cloud backup, le piccole imprese risultano a sorpresa più virtuose: è il 60% ad esserne dotato a fronte del 54% delle medie imprese.

C’è ancora chi non è interessato

Tra l’altro, è davvero sorprendente che tra quanti non hanno un sistema di backup il 71% non è interessato ad introdurne uno in azienda neanche nel lungo periodo. Le ragioni di questa scarsa propensione risiedono principalmente nel ritenere di avere pochi dati da salvaguardare o nel non trattare dati sensibili, dimostrando quindi una scarsa percezione del potenziale pericolo. Invece, a conferma dei rischi, 7 aziende su 100 hanno sperimentato una perdita di dati e per il 34% di queste la causa scatenante è riconducibile ad un sistema di backup inefficace o non adeguato. In media, le aziende coinvolte da una perdita di dati hanno subito un downtime di quasi 2 giorni ed il 43% di queste non saprebbe quantificare economicamente i danni causati dall’incidente. La metà degli intervistati, invece, dichiara in modo netto che la perdita di dati ha causato un rallentamento sul lavoro (52%) e delle conseguenze economiche seppur non facilmente quantificabili (43%).

Con la pandemia le città italiane non sono diventate più sostenibili 

Nonostante i buoni propositi il traguardo verso una mobilità a emissioni zero entro il 2030 sembra essere ancora molto lontano. Alcune città europee hanno reagito alla pandemia da Covid-19 ripensando la mobilità urbana e accelerando la transizione ecologica, ma in Italia sono stati compiuti quasi solo passi indietro.  Lo conferma il rapporto Pan-European City Rating and Ranking on Urban Mobility for Liveable Cities, pubblicato dalla Clean Cities Campaign, la coalizione di organizzazioni che chiedono ai sindaci delle città europee impegni concreti la riduzione delle emissioni e del traffico urbano. Nessuna delle 36 città considerate dal City Ranking può però dirsi soddisfatta: un punteggio inferiore al 100% indica che si sta facendo troppo poco, e i punteggi vanno dal 71,5% di Oslo al 37,8% di Napoli.

In Italia sono stati fatti addirittura passi indietro

 “Le città italiane potevano uscire dalla pandemia trasformate in meglio: meno inquinamento dell’aria, meno auto in circolazione, più bici e trasporto pubblico. Purtroppo non hanno raccolto la sfida e spesso hanno fatto addirittura passi indietro – afferma Claudio Magliulo, responsabile della campagna Clean Cities in Italia -. Altre città europee, invece, hanno dimostrato che si può reinventare lo spazio urbano nel tempo di una stagione: Parigi ad esempio ha investito nella riduzione drastica del traffico veicolare e nella promozione della mobilità pedonale e ciclistica”, strappando a Stoccolma il 5° posto in classifica e tallonando le altre capitali scandinave.

Le città italiane sono tutte nella parte bassa della classifica

Il City Ranking ha analizzato 36 città in 16 paesi europei, classificandole sulla base dello stato della mobilità urbana e della qualità dell’aria.
Tra le variabili considerate, lo spazio urbano dedicato a pedoni e biciclette, i livelli di sicurezza per pedoni e ciclisti sulle strade urbane, quelli di congestione del traffico urbano, l’accessibilità ed economicità del trasporto pubblico locale, l’infrastruttura per la ricarica dei veicoli elettrici, le politiche di riduzione di traffico e veicoli inquinanti, e l’offerta di servizi di sharing mobility. Risultato? Le quattro città italiane analizzate sono tutte nella parte bassa della classifica: Milano al 20° posto, Torino al 23°, Roma al 32°, e Napoli, ultima in classifica, al 36° posto.

Il primo posto è stato conquistato da Oslo, seguita da Amsterdam, Helsinki e Copenaghen.

Non è un incidente di percorso, ma una centralità dell’auto decennale

Una mobilità non sostenibile significa anche congestione urbana e inquinamento dell’aria, riporta Adnkronos. “Le città italiane sono tra le più inquinate e congestionate d’Europa – aggiunge il responsabile di Clean Cities Italia -. Non si tratta di un incidente di percorso, ma del prodotto di decenni di centralità dell’auto e di dipendenza dai combustibili fossili. Abbiamo progettato le nostre città, e le abbiamo modificate negli anni, con in mente l’automobile È il momento di invertire questo paradigma, ripensando lo spazio urbano e la mobilità, a favore degli spostamenti a piedi, in bici e con i mezzi pubblici o di sharing mobility. Ma per farlo, e rapidamente, i sindaci italiani dovranno dimostrare più coraggio e lungimiranza”.

Le italiane sono più attente alla sostenibilità degli uomini

Sono le donne italiane a essere più virtuose rispetto agli uomini in relazione ai temi della sostenibilità, ma anche i giovani più degli anziani e chi abita in un condominio rispetto a chi vive in abitazioni singole. A confermarlo è lo studio Efficienza energetica e comportamenti individuali e comunitari in Italia, condotto dal dipartimento Psicologia Sociale dell’Università Statale di Milano e dal dipartimento Unità Efficienza Energetica dell’Enea. L’analisi ha l’obiettivo di indagare quali sono i meccanismi psicologici che spingono ad attuare comportamenti efficaci nei consumi domestici, che possano a loro volta aiutare a migliorare le politiche energetiche.

Il genere maschile è più scettico sull’impatto dei comportamenti singoli

Lo studio è stato condotto su un campione di famiglie in Lombardia, di cui sono stati esaminati azioni e interventi messi in atto negli ultimi cinque anni per ridurre la propria bolletta energetica, nell’ambito della campagna nazionale sull’efficienza energetica Italia in Classe A, promossa dal ministero della Transizione ecologica. E secondo lo studio la sostenibilità abita più nel gentil sesso, che a quanto pare ha una maggiore percezione di efficacia delle proprie azioni individuali. Il genere maschile invece è più scettico sul reale impatto dei comportamenti del singolo sul sistema sociale nel complesso. Le donne, ad esempio, indossano abiti più pesanti in inverno e utilizzano i grandi elettrodomestici a pieno carico convinte di ridurre i consumi energetici.

Anziani sensibili a risparmiare elettricità e acqua per finalità economiche

Lo studio evidenzia inoltre come all’interno di un unico nucleo familiare spesso convivano diverse subculture energetiche, derivanti da variabili come genere, età, tipologia di abitazione e impegno sui temi della sostenibilità. Gli anziani sono sensibili al risparmio di elettricità e acqua per finalità economiche, mentre i più giovani lo sono per un approccio più ideologizzato, con una maggiore cultura della sostenibilità, più aperta al cambiamento. Quanto alla mobilità sostenibile, è centrale per i dipendenti part-time, lo sharing (condivisione di servizi) e il risparmio energetico per i lavoratori autonomi, mentre la condivisione dei servizi è importante per i lavoratori dipendenti full-time.

La sostenibilità influenza le decisioni di consumo degli italiani

Gli italiani in generale sono,  riporta Ansa, tra i più sostenibili in Europa per scelte d’acquisto e consapevolezza sui consumi. Un sondaggio del Gruppo Bsh (azienda mondiale nel settore degli elettrodomestici) ha evidenziato come 9 italiani su 10 si informano sulle caratteristiche di sostenibilità prima e durante l’acquisto di un grande elettrodomestico soprattutto attraverso l’etichetta energetica del prodotto (60%). Ma anche attraverso la consulenza di un commesso (56%) o i siti di confronto online (53%). La sostenibilità influenza le decisioni di consumo di più di tre quarti degli italiani, collocando l’Italia al secondo posto in Europa dopo la Spagna.

Boom di e-bike, ma l’automobile rimane la preferita dagli italiani

Da quanto emerge dal 18° Rapporto Audimob sulla mobilità, presentata al convegno organizzato da Isfort, CNEL e MIMS – Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, in Italia la mobilità post-Covid non è cambiata molto rispetto a prima dell’emergenza sanitaria. Salvo l’emergente passione per e-bike e mobilità green gli italiani continuano infatti a prediligere lo spostamento con l’auto tradizionale snobbando il trasporto pubblico.
“Le scelte di mobilità sono molto volatili – commenta il Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, Enrico Giovannini -. La vera questione è se nel 2022 ci sarà una domanda diversa di mobilità, anche a causa dello smart working”.

Cresce il parco dei mezzi elettrici, ma oltre 12 milioni di auto sono ‘vecchie’

L’indagine evidenzia comunque una crescita del parco dei mezzi elettrici, arrivati a 83.463 auto (+57% rispetto a fine 2020), 18.635 ciclomotori (+12,3%), 12.471 scooter e moto (+32,7%), 8.352 quadricicli (+18,2%). In ascesa anche l’immatricolazione delle auto ibride, che supera il diesel e fa conquistare all’Italia il podio in Europa. Ma nonostante le velleità green degli italiani, il parco circolante è ancora vetusto, con oltre 12 milioni di auto, quasi un terzo del totale, che non superano lo standard emissivo Euro 3. Le alimentazioni a benzina e gasolio riguardano infatti oltre 35 milioni di auto, quasi il 90% del totale, mentre le auto ibride sono 550mila e quelle elettriche poco più di 50mila. Tuttavia, nelle immatricolazioni 2020 la quota di auto elettriche e ibride è stata pari a quasi il 20% del totale.

Mobilità condivisa, +35mila monopattini elettrici

Una parte degli italiani però ha scelto un mezzo più ecologico, incentivato anche dai bonus, e ha acquistato una e-bike. Secondo i dati Ancma, nel 2020 sono state vendute in Italia oltre 2 milioni di biciclette, di cui 280mila e-bike (+17% rispetto al 2019), e nei primi sei mesi del 2021 ne sono state vendute 157.000 (+12% rispetto allo stesso periodo del 2020). Quanto alla mobilità condivisa, il 2020 è stato un anno di luci e ombre. La flotta complessiva di veicoli è cresciuta del 65%, con un parco disponibile di 85mila mezzi, ma si tratta di un incremento quasi interamente imputabile ai monopattini elettrici (+35mila), riporta Teleborsa. 

Il Tpl perde oltre il 50% dei passeggeri

Gli italiani continuano però a snobbare il trasporto pubblico locale, riferisce Ansa, e a intasare le strade con auto datate. Insomma, l’auto resta il mezzo preferito degli italiani e l’autobus entra in crisi, dimezzando la propria quota modale (dal 10,8% al 5,4%) e perdendo oltre il 50% dei passeggeri. Una tendenza che secondo le previsioni Audimob è destinata a proseguire, complici le norme di distanziamento, la paura dei contagi e lo smart working che di fatto ha ridisegnato la mobilità dei cittadini. Gli smart workers si muovono infatti molto più a piedi o in bicicletta e meno con i mezzi motorizzati, che sia l’auto o il trasporto pubblico.

Più di 4 milioni di italiani seguono la radiovisione

Sono più di 5 milioni gli italiani che nell’ultimo anno e mezzo hanno scoperto per la prima volta la radiovisione sugli schermi televisivi. E quelli che seguono i programmi radiofonici da device diversi da quelli tradizionali sono complessivamente più di 19 milioni. La radiovisione è in sintonia con gli stili di vita degli italiani: più di 4 milioni di italiani seguono ogni giorno la radiovisione dagli schermi televisivi, e nel primo semestre del 2021 sono aumentati del 4,7% rispetto allo stesso periodo del 2019. Gli italiani che invece guardano anche saltuariamente la radio in tv superano gli 11 milioni. Sono i principali risultati del 2° Rapporto del Censis La transizione verso la radiovisione.

La fiducia nella radio è rimasta invariata

I programmi radiofonici sono usciti bene dall’infodemia scatenata dall’emergenza sanitaria. Per l’82,6% degli italiani la fiducia nella radio è rimasta invariata nell’ultimo anno, per il 6,1% è aumentata. L’81,4% degli italiani poi è convinto che la radiovisione sia un nuovo media che combina i contenuti di qualità della radio con le infinite possibilità di ascolto e di visione in diretta su una molteplicità di schermi: il televisore, il pc, il tablet e lo smartphone. Inoltre, l’81,7% degli italiani ritiene che il successo dei programmi radiofonici dipenda dalla credibilità e affidabilità dei loro contenuti.

La politica nazionale conquista il 40,1% di preferenze

Le notizie di politica nazionale sono quelle che interessano di più gli utenti, con il 40,1% di preferenze. Al secondo posto, in forte crescita nell’anno della pandemia, le notizie riguardanti scienza, medicina e tecnologia, che catturano l’attenzione del 34,9%. A questi seguono, stili di vita, viaggi e cucina (28,8%), cronaca nera (27,9%), sport (26,7%), cultura e spettacoli (25,8%). I gusti degli utenti della radio però cambiano in base al sesso. Se gli uomini preferiscono la politica nazionale (il 45,5% contro il 34,4% delle donne), lo sport (45,4% vs 7,2%) e l’economia (23,2% vs 9,9%) le donne sono attratte di più dalle notizie riguardanti stili di vita, viaggi e cucina (40,5% vs 17,5%), cultura e spettacolo (33,8% vs 18,1%), gossip e cronaca rosa (28,8% vs 6,2%).

Il futuro dei contenuti audio? No alle piattaforme digitali

Il 63,1% degli italiani è convinto che il futuro dei contenuti audio non saranno le piattaforme online di musica a pagamento, che offrono lo streaming on demand di brani selezionati in base ai gusti personali dell’utente (la pensa così anche il 51,7% dei più giovani).  Per il pubblico due fattori conferiscono un valore aggiunto alla programmazione radiofonica rispetto alle piattaforme digitali: i contenuti realizzati da una redazione di professionisti e la programmazione in diretta. Il 90,1% sottolinea la differenza tra i programmi offerti all’interno di un palinsesto realizzato da redazioni professionali, ricco di musica e di contenuti informativi, e le piattaforme on demand, che offrono esclusivamente musica selezionata in modo personalizzato. L’85,2% sottolinea che la peculiarità della radio è di essere live, e di riuscire così a mantenere un contatto diretto con il proprio pubblico.